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La governance della sicurezza domestica

Tra le pareti di casa, ci si sente comprensibilmente al sicuro con una conseguente naturale diminuzione della soglia di attenzione che, invece, è massima nei momenti in cui ci si trova  all’esterno. Se in ambiente di  lavoro, ad esempio, la nostra incolumità è in un certo senso demandata ad altri, tra le mura domestiche la   sicurezza dipende in buona parte dalla nostra “ consapevolezza del rischio”. Per “incidente domestico” si intende un evento dannoso che si verifica accidentalmente negli immobili di civile abitazione e loro pertinenze (androni, scale, ballatoi, etc.), che coinvolge i componenti del nucleo familiare compresi visitatori e collaboratori domestici, durante lo svolgimento delle attività residenziali quotidiane, manutentive ed hobbistiche. Nel 2017, in Italia, sono stati ottomila i decessi per infortunio domestico; le fasce deboli e fragili  della popolazione, i bambini, gli anziani e i disabili, che trascorrono la gran  parte del tempo tra le mura domestiche, sono quelle maggiormente esposte al rischio di incidente.  I dati ISTAT    riportano circa 3.500.000  di infortuni domestici  all’anno denunciati in Italia con un  incremento nell’ultimo decennio pari al 20%. Le principali cause di incidente sono la caduta (con percentuali dal 40 al 45%), seguita dagli urti (in media 17%) e dai tagli (in media 16%). Ma molteplici sono le cause di incidente domestico oltre quelle già citate; le  ustioni per rovesciamento di liquidi ad alta temperatura o per immersione in acqua bollente o esposizione a vapori bollenti o per contatto con parti bollenti di impianti, quali stufe ad esempio; le folgorazioni per  esposizione ad energia elettrica; gli annegamenti in vasca da bagno o in piscina nel caso di abitazione che ne ha disponibilità; le asfissie per inalazione o ingestione di cibo o altri oggetti che causano ostruzione delle vie respiratorie o quelle da soffocamento meccanico a letto o in culla o da sacchetto di plastica; gli avvelenamenti ed intossicazioni da sostanze tossiche per inalazione, contatto o ingestione di alcool, farmaci, detersivi, disinfettanti, colori e vernici, solventi, gas, vapori; gli  avvelenamenti ed intossicazioni da contatto o ingestione di piante tossiche o animali velenosi; i morsi di animali; l’esplosione (nel caso di recipienti sotto pressione, caldaie, pentole a pressione, caffettiere ecc) e gli scoppi (fuochi artificiali, gas combustibili ecc; gli investimenti da veicoli, nel caso l’incidente avvenga in locali di pertinenza dell’abitazione.   La distribuzione degli incidenti rispetto all’età ha un andamento noto;  un primo picco si verifica  in età infantile,  tra 0 e 5 anni, ed interessa prevalentemente  i maschi, ed un secondo,   più elevato, in età avanzata, oltre i 75 anni. Altro dato significativo riguarda la differenza di genere: le donne vanno incontro al  doppio degli incidenti rispetto agli uomini; si tratta di infortuni tipici delle  attività di cucina e domestiche in senso stretto; per l’uomo, invece,  l’infortunio  in ambito domestico   è generalmente  legato ad un’attività non prettamente casalinga o al gioco.  L’adozione di inadeguati  stili di vita e di comportamenti individuali non corretti  può innalzare la soglia del rischio; la ripetitività dei gesti, la distrazione, la fretta, lo stress psico-fisico sono naturali ostacoli alla sicurezza dell’ abitazione. Ogni infortunio è abitualmente  causato dall’interazione di più fattori; sono proprio le concause a   farlo diventare inatteso, lesivo ed imprevedibile. In alcuni casi, l’evento,  da solo non sarebbe sufficiente ad arrecare danno se non fosse per il concorso di particolari condizioni, ad esempio preesistenti nell’ infortunato, oppure circostanze contemporanee o sopravvenute, che, da sole, non avrebbero  causato il danno. Peraltro, se le cause degli infortuni fossero tutte ovvie, note e prevedibili, il fenomeno non sarebbe in costante aumento; così,  siamo in grado di fronteggiare efficacemente i fattori di rischio conosciuti, ma ci troviamo in difficoltà di fronte a nuovi rischi nati per effetto della costante evoluzione tecnologica e sociale, e dei “diversi” modi di abitare e della architettura delle abitazioni stesse che, per ragioni estetiche da ricercare sia negli elementi strutturali e di arredo sia nella loro disposizione, diventano sempre meno sicure.

Non esiste nella nostra Legislazione  una figura professionale che si interessi specificamente ed esclusivamente  della sicurezza domestica ed è giusto che sia così perché la Governance della sicurezza domestica , intesa etimologicamente come “alleanza di governo” di più attori, prevede la partecipazione attiva, coordinata e condivisa di varie competenze, architetti, ingegneri, tecnici della sicurezza, sociologi, psicologi, avvocati, amministratori di condominio, chimici, medici igienisti, assicuratori, informatici, tecnologi ed anche  Forze dell’Ordine, vigili del fuoco per la quotidiana maturata. Ovviamente, la valutazione istituzionale del rischio è patrimonio dei tecnici delle Aziende sanitarie (Dipartimenti di Prevenzione) che agiscono in conformità di indicazioni e linee guida elaborate da Organi istituzionali (INAIL), oltre che, ovviamente,  da norme di indirizzo  nazionali, regionali e comunali.  

Vanno perciò incentivate le naturali sinergie tra le strutture che erogano specifica formazione sulla sicurezza domestica e gli stake holders , fermo restando l’esigenza di stimolare l’attenzione del cittadino sul problema, affinché adotti adeguati comportamenti e si renda partecipe della necessità di confrontarsi con i tecnici perché possano eliminarsi/ridursi i rischi nella propria abitazione. Le azioni da porsi in essere da parte delle  Organizzazioni impegnate nella prevenzione del rischio in ambito domestico, possono sintetizzarsi nel proporre le necessarie modifiche strutturali alle abitazioni, laddove non risulti possibile già all’atto della strutturazione dell’abitazione stessa, tener conto dell’esigenza di realizzare un progetto di casa sicura. Vanno altresì adottati dispositivi in grado di coadiuvare il cittadino, ad esempio l’utilizzo di sistemi di allarme, di presidi atti ad evitare la caduta in ambienti ad alto rischio (vedi stanza da bagno), uguale attenzione deve porsi nell’adozione di comportamenti virtuosi da parte dell’abitante; solo per fare un esempio, il corretto posizionamento di pentole e padelle sui fuochi posteriori del fornello onde evitare un loro scivolamento o un gesto inconsulto da parte di un bambino, possa provocargli drammatiche ustioni.

In sintesi, una buona progettazione architettonica dell’abitazione unitamente all’uso dei molteplici dispositivi che la moderna tecnologia mette a disposizione, in uno con adeguati comportamenti dell’abitante, rappresentano gli strumenti fondamentali per la riduzione del rischio. L’aforisma “ Risk Based Thinking” introdotto dalle norme di nuova generazione sui sistemi di gestione  (ISO 9001 ed altre), che   significa in pratica vivere con la consapevolezza del rischio,  però con il medesimo atteggiamento di chi guida l’automobile, pienamente rilassato ma in ogni momento consapevole della presenza del rischio ad ogni angolo di strada.
Arch. Gabriella Pesacane

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Ustionarsi in casa
cosa fare e cosa non fare

In Italia circa 280 persone all’anno muoiono per ustioni in ambiente domestico, Si tratta prevalentemente di bambini di età fino ai 4 anni e di anziani, categorie in genere più esposte a rischio perché “fragili” e perché trascorrono gran parte del proprio tempo nella propria abitazione. I dati sono desunti dal progetto PRIUS ( PRevenzione degli Incidenti da Ustione in età Scolastica) finanziato dal Ministero della Salute e realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). L’ustione è una lesione provocata dall’azione del calore su una superficie più o meno estesa del corpo con conseguenti danni che sono in rapporto al grado di temperatura dell’ elemento ustionante ed al lasso di tempo nel quale il tessuto è stato a contatto con la causa che l’ha prodotto. Ovviamente, maggiori sono la temperatura ed il tempo di contatto, maggiori saranno i danni che il tessuto subirà. Le cause di ustione possono essere varie e diverse: fiamme libere su fornelli, stufe, caminetti, barbecue, metalli arroventati come ad esempio il ferro da stiro, liquidi bollenti come l'acqua che bolle in pentola o l'olio che frigge o sostanze chimiche di uso comune in casa come acido muriatico, ammoniaca o soda caustica o prodotti antiruggine contenenti acido fluoridrico; ma la stessa corrente elettrica è in grado di provocare ustioni. Il luogo della casa più pericoloso per incidenti nell’adulto è la cucina dove avviene il 43% degli incidenti domestici, gran parte dei quali ustioni, prevalentemente a carico delle donne. Nel bambino è il soggiorno ad essere il locale a maggior rischio complessivo (quindi non solo ustioni) con una percentuale del 29% tra i maschi e del 38% tra le femmine, ma è ovvio che anche per il bambino la cucina rappresenta  il luogo ove più frequentemente si verificano incidenti da ustioni. La gravità delle ustioni è in rapporto alla profondità dello spessore di tessuto danneggiato e, ovviamente, all’estensione dell’ustione stessa. In questa ottica le ustioni vengono classificate in gradi da uno a quattro a seconda della gravità. Nel primo grado si manifesta soltanto un eritema ed una modica tumefazione della cute; in pratica è stata interessata solo l’epidermide (ustioni epidermiche). Nel secondo grado (ustioni dermiche) è interessato anche   il derma con formazione di bolle e vescicole. Le ustioni sottodermiche (terzo grado) evidenziano fenomeni di necrosi dell’intero spessore della cute che in qualche caso possono ulteriormente approfondirsi nei tessuti sottostanti. Il quarto grado evidenzia tessuti completamente carbonizzati. E’ ovvio che le ustioni richiedono l’intervento urgente del medico o meglio ancora dell’ospedale, in particolare, nei casi di gravità, una struttura dotata di un cosiddetto Centro Ustionati; solo le piccole ustioni, quelle di primo grado, possono curarsi in casa, purché l’ustione non abbia una estensione superiore al 10% della superfice corporea del bambino; al  15% nel caso dell’adulto.

Cosa è possibile fare per proteggere noi stessi ed i nostri cari dal rischio di ustioni? Una buona prevenzione è l’insieme di azioni che tendono a far sì che l’incidente non accada; dobbiamo perciò cercare di modificare i comportamenti a rischio attraverso una buona educazione sanitaria ed una meritevole opera di informazione del cittadino. Importanti ed efficaci possono presentarsi i brevi corsi di formazione riservati ad alunni delle scuole elementari che possono divenire delle vere e proprie “sentinelle della sicurezza domestica” trasmettendo ai familiari le notizie apprese e diffondendo le buone pratiche da seguire in casa per prevenire il rischio di ustioni e non solo questo. Si devono quindi adottare alcune norme di comportamento semplici, di uso comune, magari integrandole con l’uso di appositi dispositivi di sicurezza. Bisogna, quindi :

-proteggere, con vere e proprie barriere, il caminetto, le stufe e altre fonti di calore ad evitare contatti accidentali di bambini o anziani o disabili;

-tenere in alto, fuori dalla portata di bambini, o comunque di anziani non collaboranti, gli oggetti pericolosi perché possibili fonti di fuoco  (fiammiferi, accendini ecc);

-non spruzzare liquidi infiammabili sul fuoco acceso (barbecue, camino ecc.) e comunque tenere lontani bambini ed anziani non collaboranti soprattutto quando, come nel caso della cottura di cibi con barbecue, questo strumento sia rappresentato da struttura instabile o precaria; la presenza di bambini ad un passo dal barbecue, in attesa trepidante che gli venga servito il  cibo, è purtroppo una immagine consueta dei nostri album fotografici;

-posizionare sempre pentole e padelle sui fornelli posteriori del piano cottura facendo attenzione che i manici non sporgano dal margine anteriore del piano cottura e siano sempre rivolti lateralmente e mai verso altri fuochi accesi perché potrebbero divenire incandescenti e, allorché imprudentemente presi con mano o anche con presina non idonea dal cuoco, potrebbero essere lasciati cadere a causa del dolore.  Utile si presenta l’applicazione intorno al fornello di una ringhiera asportabile a protezione dei bambini. Utile altresì, a nostro parere, posizionare sulla parete che si affaccia sul piano cottura un grande cartello che ricordi al “cuoco di turno” di utilizzare questa procedura di sicurezza. Si consiglia altresì  di non riempire mai pentole e padelle con troppa acqua o con troppo olio per più di un terzo della loro capacità. Si raccomanda ancora di non tenere  sul piano di cottura strofinacci e rotoli di carta vicino ai fornelli accesi. Sarebbe buona norma inoltre che chi si avvicina ai fornelli, cuoco che sia o altri, non indossi abiti con maniche svolazzanti di tessuto sintetico facilmente infiammabile. Altra raccomandazione, nel caso di forno a gas, è di controllare che gli ugelli ed i punti fuoco siano sempre puliti ad evitare che la presenza di oli possa alimentare fiamme;

-non bere liquidi bollenti mentre si tiene in braccio un bambino;

-usare i vetri atermici per la cottura di cibi in forno o comunque porre la massima attenzione quando si tira fuori dal forno una pietanza calda usando presine di buona qualità;

-evitare di porre il viso sulla caffettiera per verificare se il caffè sale; non è infrequente il rischio di esplosione o di getto di liquido bollente;

-evitare di posizionarsi nelle immediate vicinanze della pentola a pressione quando è in funzione perché non è infrequente la sua esplosione;

-controllare la temperatura dei cibi che escono dal microonde: il contenitore può risultare tiepido o freddo, ma il contenuto potrebbe essere bollente;

-regolare il termostato dell’acqua calda a una temperatura inferiore ai 50 gradi;

-non lavare il bambino direttamente sotto il rubinetto dell’acqua calda. Prima del bagnetto, è buona norma immergere un gomito per sincerarsi che tutto sia a posto;

-posizionarsi seduti sul bidet solo dopo aver regolato la temperatura dell’acqua; soprattutto l’anziano con difficoltà di movimenti, allorché investito da getto di acqua bollente sulla zona sacrale non riesce a sottrarsi agevolmente sia perché impacciato nei movimenti sia per il dolore che avverte; spesso, peraltro l’ustione è complicata dai danni di conseguente caduta;

-non utilizzare fuochi d’artificio o almeno leggere bene le istruzioni ed acquistare solo prodotti sicuri;

-non lasciare mai il ferro da stiro ancora bollente ad altezza di bambino;

-non tenere nella parte bassa dei mobili prodotti per la casa  pericolosi ed in grado di provocare ustioni a tutela dei bambini che potrebbero accedervi;

-tenere in apposito luogo separato prodotti per la casa altamente tossici ed in grado di provocare ustioni (ammoniaca, acido muriatico, soda caustica o prodotti antiruggine contenenti acido fluoridrico ecc.) o proteggere l’armadietto contenitore con chiusure di sicurezza, facilmente reperibili in commercio;

-non miscelare tra loro diversi prodotti disinfettanti-detergenti peraltro esponendo il volto ed il corpo ai fumi che possono sprigionarsi;

- non fumare a letto, oppure, se proprio non se ne può fare a meno,  utilizzare lenzuola ignifughe facilmente reperibili in commercio a prezzi abbordabili;

-controllare l’integrità di fili e prese elettriche per evitare il rischio di ustioni da elettrocuzione.

Come comportarci poi in casa di fronte ad un incidente da ustione?  Va sottolineato che le prime manovre sono le più importanti perché possono condizionare il futuro della vita dell’ustionato. E’ importante dettare poche norme, ma essenziali ed alla portata di tutti.

La prima cosa da fare in caso di ustione  è sottoporre  la parte colpita ad un getto di acqua fredda, magari  presa dal frigo, fino a quando il dolore non si attenua e in modo da alleviarlo. Nel caso di scottature estese, in attesa dei soccorsi,  posizionare l’ustionato   in vasca da bagno o doccia e irrorarlo con acqua fredda per almeno 20 minuti. Se vi è stato un ritardo nell’iniziare a raffreddare l'ustione, si può ancora procedere al raffreddamento anche dopo tre ore dall’incidente.  Ad evitare l’ipotermia, costante nel soggetto con ustioni estese, irrorarlo, dopo la fase iniziale di qualche minuto con acqua fredda, con acqua tiepida ma non calda. Rimuovere poi i vestiti avendo cura di non forzare il distacco ove questi aderiscano tenacemente alla pelle ustionata.

Per piccole  scottature  è opportuno non usare olio, albumi, dentifrici, patate, farina, talco perché rallentano il processo di guarigione e possono infettare la ferita. Non usare mai il ghiaccio perché si potrebbero creare ulteriori lesioni dovute alla differenza di temperatura. Se si fossero formate bolle è opportuno  bucarle con aghi sterili e disinfettarle con prodotti non alcolici.


Dott. Bruno Zamparelli
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Gli incidenti domestici in una fascia di età sottovalutata: 0-2 anni

Il 26 novembre 2019 sono stati presentati i dati raccolti dal Sistema di Sorveglianza sui determinanti di salute nella prima infanzia, promossi dal Programma GenitoriPiù, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (Gruppo di lavoro SINIACA-IBD)[a].

Tra dicembre 2018 ed aprile 2019 è stata condotta una indagine di tipo campionario in 11 regioni, a cui hanno partecipato 29.492 madri di bambini fino a 2 anni di vita, che si erano recate presso i centri vaccinali (CV) per farli vaccinare. L’indagine aveva lo scopo di raccogliere informazioni su alcuni determinanti di salute del bambino da prima del concepimento a 2 anni di vita per produrre indicatori, in parte richiesti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e/o dai Piani Nazionali e Regionali di Prevenzione, che consentissero confronti territoriali e intertemporali.[1]


Ogni madre, con il supporto degli operatori dei CV, ha riempito un questionario anonimo. Con questa iniziativa sono stati monitorizzati importanti aspetti del percorso nascita e della salute dei bambini tra 0 e 2 anni, fra cui gli incidenti domestici.

Secondo la definizione dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) l’incidente domestico[2] è “un evento dannoso che presenta le seguenti caratteristiche: comporta la compromissione temporanea o definitiva delle condizioni di salute di una persona, a causa di lesioni di vario tipo; è accidentale, si verifica cioè indipendentemente dalla volontà umana; si verifica in un’abitazione, intesa come l’insieme dell’appartamento e di eventuali estensioni esterne (balconi, giardino, garage, cantina, scala, etc.)”

Solitamente i dati sulla incidenza degli incidenti domestici sono calcolati sulla base degli accessi ad un Pronto Soccorso, seguiti o meno da ricovero, oltre che sui decessi.

Nel 2011 in Italia il tasso medio di accesso ad un PS ospedaliero per infortunio domestico è stato pari a 3.075 pazienti per 100.000 abitanti, con l’incidenza maggiore nei bambini sotto ai 5 anni d'età: 8.137 casi ogni 100.000/anno.[3]

Dall’analisi delle risposte dei componenti di 25.000 famiglie intervistate dall’Istat nel 2013 per l’indagine Multiscopo, era risultato che negli ultimi 3 mesi avevano subìto un incidente domestico 11,3 persone su 1.000: in particolare, 15 donne/1.000 contro 7 uomini, 27 ultrasettantaquattrenni, 9 bambini fino a 5 anni.1

I dati raccolti dal Gruppo di lavoro SINIACA-IDB confermano che la prevalenza degli incidenti domestici nei primi anni di vita è molto più rilevante: si è rivolto ad un medico (pediatra o altro) e/o al Pronto Soccorso (PS) per un incidente domestico occorso al proprio figlio (cadute, ferite, ustioni, ingestione di sostanza nocive, ecc.), il 6,3% delle madri con figli di età inferiore a 6 mesi, il 12,6% delle madri con figli fra 6 e 12 mesi, ed il 19,8% con figli di età superiore ad 1 anno.[4],[5]  (Fig. 1). In pratica, è stato necessario ricorrere ad un supporto medico, per un incidente domestico, per 1 minore su 16 di età inferiore a 6 mesi, per 1 su 8 di età fra 6 e 12 mesi, ed 1 su 5 fra 13 e 24 mesi. Esiste quindi un rischio significativo anche in epoche in cui un bambino non è ancora autonomo nei suoi movimenti, ma dipende esclusivamente da coloro che lo assistono.

Nel Rapporto Istisan 10/3 del 2010[6], si era sottolineato che “il fenomeno degli incidenti domestici e la presenza in casa di rischi e pericoli contrasta con l’idea che comunemente si ha di essa, ritenuta per lo più un luogo sicuro; è proprio da tale idea.. che scaturiscono le difficoltà a percepirne adeguatamente i rischi in essa presenti. Il numero consistente di incidenti domestici … nella fascia d’età compresa tra i 0 ed i 4 anni, è un valido indicatore della sottostima del rischio presente nelle abitazioni, soprattutto da parte degli adulti”

Il Piano Nazionale Prevenzione 2014-2018[7] ha riconosciuto fra i fattori determinanti degli incidenti domestici un ambiente inadeguato, non solo per condizioni di scarsa sicurezza degli ambienti domestici, ma anche per la bassa percezione del rischio da parte degli adulti. Le azioni da intraprendere per la prevenzione degli incidenti comprendono : il miglioramento della sicurezza delle abitazioni; il miglioramento della conoscenza del fenomeno e delle azioni di prevenzione di operatori sanitari, MMG e PLS; la formazione e informazione della popolazione maggiormente a rischio di incidente domestico, dei genitori e dei caregivers.

Nel 2015 Il Ministero della Salute ha realizzato l'opuscolo “Bambini sicuri in casa”, piccola guida sulla sicurezza domestica del bambino, in cui, oltre a sottolineare il ruolo strategico dei genitori nell’impostare la consapevolezza dei rischi e la conoscenza della potenziale pericolosità di stili di vita e di comportamento, si ricorda che altre figure, come i nonni, le baby-sitter, le assistenti dell’asilo o della scuola, i fratelli più grandi, sono temporaneamente interessate a questo aspetto che facilmente è trascurato o sottovalutato.[8]

“E' sufficiente non trattare il bambino come un giocattolo inanimato: è capace di azioni che solo il giorno prima non era in grado di fare e che noi mai pensavamo potesse fare il giorno dopo”.

Nel 2017 è stata pubblicata la Linea Guida “La prevenzione degli incidenti domestici in età infantile”, redatta da parte di un gruppo di esperti e promossa e finanziata dal Ministero della Salute, che sintetizza l’interazione dei fattori che influenzano il verificarsi degli incidenti domestici, per guidare la ricerca delle prove di efficacia degli interventi di prevenzione.[9]

Tra le pareti di casa ci si sente al sicuro, con una conseguente naturale diminuzione della soglia di attenzione che è, invece, massima nei momenti in cui ci si trova all’esterno. Se in ambiente di  lavoro, ad esempio, la nostra incolumità è in un certo senso demandata ad altri, tra le mura domestiche la sicurezza dipende in buona parte dalla nostra “consapevolezza del rischio”[10].

Nella popolazione adulta italiana censita dal sistema Passi nel periodo 2015-2018, la consapevolezza del rischio di infortunio domestico è scarsa: solo 6 intervistati su 100 considerano alta o molto alta la possibilità di avere un infortunio in casa, facendo riferimento a loro stessi o ai propri familiari.[11]

Le condizioni di scarsa sicurezza degli ambienti domestici e la scarsa percezione del rischio da parte degli adulti rappresentano un importante fattore di rischio per i bambini.

Gli eventi che si verificano prima dei due anni di età sono dovuti principalmente ad una scarsa attenzione dei genitori o dei caregivers (ad es.. cadute dal fasciatoio, ustioni o schiacciamento tra i battenti di porte causate da adulti), mentre successivamente prevale l’effetto dell’aumento dell’autonomia e della “motricità” dei bambini, che si traduce in un aumento delle lesioni da urti, strattonamenti, etc.[12].

Di grande interesse è il capitolo delle Linee Guida dedicato alle “Possibili azioni preventive nei primi anni di vita”[13]. “Quando arriva un bambino, i genitori devono essere capaci di proiettarsi in un futuro prossimo e meno prossimo, prevedendo le nuove abilità che il bambino acquisisce continuamente, il piacere della scoperta che lo caratterizza, la scarsa percezione del rischio che lo contraddistingue”. “Nei diversi momenti della crescita la presenza di un adulto attento e consapevole è un elemento indispensabile alla prevenzione degli incidenti, ma se nei primi mesi di vita, quando il bambino non è capace di movimenti autonomi, basta l’attenzione, in seguito bisognerà mettere in sicurezza la casa perché sarà molto difficile bloccare tutte le acrobazie di cui sarà capace”.

Le tipologie di incidenti sono limitate (cadute, ustioni, ferite, soffocamento, avvelenamento, annegamento) mentre le modalità sono illimitate: non vi sono quindi soluzioni preconfezionate, ma è necessario aiutare i genitori e poi i bambini, a sviluppare la loro attenzione. (Tab. 1)


Quali misure adottare per prevenire questi incidenti?

La cultura della sicurezza passa attraverso una serie di accorgimenti (uso corretto del fasciatoio, attenzione alla temperatura dell’acqua del bagnetto, ecc.) di cui i genitori - e più in generale tutti gli adulti che si occupano del bambino - devono essere informati, così come è necessario che venga raccomandato loro di riorganizzare al meglio l’ambiente domestico seguendo le tappe di sviluppo del bambino.13

I movimenti dei neonati e dei bambini piccoli (contorcersi, rotolare, agitarsi, arrampicarsi, ecc.) possono provocare cadute da letti, fasciatoi, piani di lavoro, tavoli e seggioloni. Cadere è inevitabile quando i bambini imparano a camminare e correre. Cadute da altezze relativamente basse possono provocare lesioni gravi, tra cui lesioni alla testa e fratture degli arti : la sfida è ridurre al minimo le gravi lesioni da cadute. Alcuni bambini saranno in grado di arrampicarsi quando saranno in grado di gattonare: non è necessario essere in grado di camminare per potersi arrampicare.[16],[17]

 L'obiettivo deve essere la prevenzione delle cadute dall'alto, come le scale, le finestre, i mobili, i piani di lavoro della cucina e i seggioloni. Molti incidenti potrebbero essere evitati mediante comportamenti adeguati da parte dei genitori: un primo passo è costituito dalla conoscenza dei rischi. I bambini in età prescolare trascorrono gran parte del loro tempo a casa, ed è lì che hanno la maggior parte dei loro incidenti. Non possiamo mai rendere la casa completamente sicura ma possiamo cercare di garantire che vengano identificati i pericoli più gravi e che i rischi ad essi associati siano ridotti.

È dimostrata l’efficacia d’interventi di educazione sanitaria volti a migliorare la consapevolezza del rischio nelle famiglie con bambini : sono tanto più efficaci quanto più il messaggio è personale[18].

I medici, e principalmente i pediatri, hanno un ruolo di primo piano nell’illustrare ai genitori le misure da adottare per prevenire questi incidenti, e raccomandare una maggiore vigilanza sugli aspetti della sicurezza domestica[19],[20] che, come l’esperienza dimostra, in molte case sono sottovalutati, o addirittura ignorati.




Prof. Luciano Pinto

La percezione del rischio. 

Individualità e multifattorialità

 

Nel 2017 l’ISTAT ha rilevato con una indagine multiscopo in Italia 4.400.000 incidenti domestici.  

La prevenzione del rischio di incidenti trova, ovviamente, nell’abitazione il suo motivo di essere perché spesso causati da   comportamenti e stili di vita scorretti che, soprattutto nei bambini, più esposti perché meno consapevoli, è possibile modificare. Un’efficace prevenzione degli infortuni non può prescindere dalla percezione individuale del rischio, cioè dalla capacità dell’individuo e più in genere della collettività di rendersi consapevole dei pericoli con cui il vivere quotidiano in casa ci mette a contatto. Spesso non si riesce  a valutare il potenziale rischio a causa di una visione semplificata della realtà: abitudini ed esperienze pregresse (personali o di altri) e scarsa conoscenza del pericolo e della sua dannosità, portano l’individuo   a sottovalutare i rischi connessi alle attività quotidiane note e usuali come pulire e utilizzare attrezzi: l’acido muriatico, ad esempio, comunemente adoperato per pulire, è potenzialmente dannoso, se incautamente adoperato, e può provocare intossicazioni, ustioni o danni agli organi interni.   Anche   la valutazione soggettiva rischi/benefici influenza le nostre scelte: se un determinato comportamento arreca un beneficio, allora il rischio ad esso connesso sarà percepito in misura minore. Per fare un esempio: per pulire i vetri della finestra salgo sulla sedia perché è a portata di mano, mi risparmia il fastidio di prendere lo scaletto, mi consente una maggiore libertà di movimento, quindi mi sbrigo prima; il pericolo che da questa azione può derivare   mi sembra inferiore rispetto al vantaggio che traggo dal velocizzare il lavoro. Il rischio è percepito positivo quando è associato ad una motivazione rilevante e promette vantaggi immediati; gli svantaggi non sono evidenti, quindi “vale la pena”.  Rispetto all’incidente domestico utilizziamo una scorciatoia mentale; migliaia di persone cadono o si ustionano in casa propria, nonostante ciò, la nostra autostima ci fa sottovalutare il pericolo, ci sentiamo meno esposti perché ci riteniamo esperti; “ho fatto sempre così e non è mai successo niente” è la frase tipica dell’illusione del controllo. In pratica, gli eventi rari ma eclatanti sono sovrastimati rispetto ad eventi che attirano di meno l’attenzione sebbene siano più frequenti. Analogo atteggiamento viene assunto nei confronti di quei comportamenti pericolosi che manifestano il danno nel tempo, (vedi esposizione a sostanze chimiche, il rischio biologico o le scorrette pratiche igieniche e alimentari). La nostra mente è selettiva, crediamo di vedere e sentire tutto semplicemente prestandovi attenzione e non è così; il 99% delle persone, forte della sua presunta esperienza, non rispetta le regole di sicurezza e, malgrado ciò, non subisce infortuni; questo risultato viene erroneamente attribuito alla propria capacità di gestire il pericolo. Tutte le nostre decisioni sono motivate da un lavoro mentale attraverso il quale attribuiamo un  valore a quello che osserviamo; un processo che si sviluppa attraverso cinque fasi consecutive, con cui costruiamo la nostra “mappa mentale”: con l’attenzione raccogliamo i dati, li filtriamo e li selezioniamo anche inconsapevolmente, ma l’attenzione è influenzata simultaneamente da altri fattori individuali come credenze, interessi, aspettative del soggetto. Una volta raccolte le informazioni le organizziamo in schemi per poi attribuire loro un significato. Conserviamo una parte delle informazioni nella memoria per richiamarle al momento opportuno. Nell’ultima fase, valutiamo l’informazione ricevuta, sia essa un evento, una persona o un oggetto; questa fase influenzerà tutte le successive decisioni ovvero i nostri comportamenti. In genere, non percepiamo il rischio per motivi diversi: non lo conosciamo, o perché affetti da un’alterazione delle capacità percettive quali ipoacusia, daltonismo, alterazione da sostanze inebrianti o farmaci, stanchezza o ripetitività che contribuiscono ad abbassare la nostra soglia di attenzione. La maggior parte di noi, rimuove il pericolo dalla coscienza, ovvero tendiamo a minimizzare per semplificarci la vita; sarebbe, infatti, eccessivamente stressante, tenere il pensiero costantemente rivolto al pericolo. Più si è convinti che non sia possibile proteggersi dal pericolo, più tendiamo a rimuoverlo ritenendoci appunto, impotenti rispetto al rischio; questa credenza nasce dalla disinformazione da un lato e da un atteggiamento fatalista dall’altro: l’incidente è governato dal caso. Talvolta, poi, sopravvalutiamo le nostre capacità; è il caso dei tanti anziani che quotidianamente finiscono al pronto soccorso a causa di incidenti domestici, talvolta mortali, perché non si rendono conto delle mutate capacità fisiche. Anche gli orientamenti culturali influenzano fortemente la percezione del rischio; gli individui apprendono osservando le altre persone nel proprio ambiente di vita, dalla famiglia al luogo di lavoro, si impara per imitazione. È perciò naturale che i diversi comportamenti derivino dai valori socioculturali di origine; in particolare, la valutazione del pericolo è proporzionale alla soglia di accettabilità del rischio e al concetto di benessere psico-fisico. Un immigrato, quale che sia la sua nazionalità, deve adattarsi ad una nuova cultura e il riadattamento può avere ripercussioni proprio sulle modalità di percezione del rischio e del pericolo. Non vanno poi trascurate le differenze di genere; gli agenti fisici, chimici e biologici presenti nell’ambiente, possono causare danni diversi in persone di sesso opposto, che possono riguardare, con intensità diversa, la sfera riproduttiva e le implicazioni per la prole in fase di gestazione o di allattamento. Le donne mostrano maggiore consapevolezza del rischio e gestiscono meglio la prevenzione grazie all’educazione ricevuta, al ruolo sociale, a schemi di altruismo e al senso di abnegazione materna. Tuttavia, nel perseguire il benessere altrui, le donne tendono a trascurare il proprio e, come dimostrano le statistiche, si infortunano maggiormente rispetto agli uomini in ambito domestico. La percezione del rischio, infine, varia in rapporto all’età. Contrariamente a quanto avviene in ambito lavorativo, dove sono i giovani ad infortunarsi maggiormente, anche se in maniera lieve, in ambito domestico sono gli anziani ad avere una percezione del rischio alterata e, come già detto, ad andare incontro ad incidenti più gravi.

Cosa fare? Motivare, spingere all’azione, utilizzando gli stimoli interni ed esterni che possono incidere sensibilmente sui comportamenti; motivare il genitore alla salvaguardia della propria incolumità e di quella dei suoi figli facendo leva sull’amore; è questo uno stimolo di tipo interiore anche se la spinta proviene dall’esterno. Il comportamento consigliato, per apparire particolarmente gradito, deve essere associato ad altri bisogni. Le campagne di sensibilizzazione dovrebbero influire in modo mirato sui comportamenti e sulle azioni, agendo sull’emotività degli individui, identificando gli ostacoli o i motivi di resistenza attraverso il dialogo con i soggetti interessati ed anche   l’utilizzo di incidenti simulati.


Arch. Gabriella Pesacane
La percezione del rischio.pdf

Gli incidenti domestici 

Raccomandazioni per una casa più sicura

Nel 2017, in Italia, si sono verificati ottomila morti per infortunio domestico che hanno coinvolto le   fasce più deboli e fragili della popolazione, bambini, anziani e disabili che   trascorrono  gran parte del giorno in casa. L’ ISTAT riferisce, sempre nel 2017,  circa 4.400.000 infortuni domestici,  denunciati in Italia con un incremento nell’ultimo decennio pari al 20%. I numeri sono impressionanti, ma il dato non colpisce l’opinione pubblica ampiamente sollecitata, al contrario, dai media nel caso di incidenti sul lavoro. La spiegazione è semplice: l’ incidente domestico non fa notizia perché,  quasi sempre, non appare in tutta evidenza la responsabilità di qualcuno, come invece accade nel caso dell’incidente sul lavoro. Gli stessi referti all’ Autorità Giudiziaria stilati nei Pronto soccorso degli ospedali  in caso di incidenti domestici seguono percorsi più “tranquilli”; atteggiamento, questo, che  non giova alla causa della prevenzione dell’incidente domestico, ritenuto dai più come un evento fortuito, non prevedibile e non prevenibile. Nulla di più errato ! L’incidente domestico può, nella maggior parte dei casi, essere  assolutamente prevenuto con l’uso di accorgimenti, procedure, dispositivi, modifiche di comportamenti e di stili di vita e, più in genere, utilizzando le moderne tecnologie che quotidianamente l’innovazione mette a nostra disposizione. La perfetta conoscenza delle cause degli incidenti domestici, che oggi noi possediamo, ci consentirebbe agevolmente, in un ambiente confinato quale è la casa in cui abitiamo, peraltro  frequentata da un ridotto numerose di persone, di valutare e prevedere la cause di incidente e di adottare, tutti insieme coloro che la abitano, le misure correttive. L’abitazione  è una piccola comunità dove è facile definire regole. Quale è la molla che può spingerci a costruire uno standard di sicurezza con una attenzione maggiore di quella che vi pone ad esempio un operaio sul posto di lavoro? L’amore che abbiamo per i nostri cari più ancora che per noi stessi!   La presenza di un numero ridotto di frequentatori di una abitazione privata rende agevole la possibilità di informarli su cosa fare e cosa non fare. Ci è di conforto in questo lavoro l’esperienza maturata nella nostra vita: quante volte abbiamo rischiato di cadere dalla scaletta? Quante volte abbiamo rischiato di scivolare nella vasca da bagno?  Quante volte abbiamo utilizzato il phon con le mani bagnate avvertendo  fortunatamente solo  una lieve scossa? La somma delle nostre esperienze deve rappresentare per la famiglia  il patrimonio di conoscenze che può aiutarci  ad organizzare una strategia concordata e condivisa con il  nucleo familiare  per difenderci dagli incidenti domestici. A casa, come sul lavoro o in ospedale, bisogna comporre un piccolo manuale di sicurezza che rappresenta il compendio di procedure virtuose che esplodono dopo aver individuato e definito quelle, al contrario, pericolose. Con un po’  di fantasia e di tempo disponibile, si può, se vi sono in casa bambini, scrivere insieme con loro le norme principali, magari organizzando un quadernetto e corredandolo di disegni da loro composti. La prevenzione – lo si dice da sempre-  si impara da piccoli,  sempre che  si abbia la fortuna di trovare chi può insegnarla in maniera costruttiva e proattiva.  Auspichiamo la nascita di una figura di valutatore del rischio domestico, di un professionista esperto in sicurezza   che sia in grado di valutare lo stato di rischio di una abitazione ma che sappia anche istruire la famiglia su cosa fare o meglio  cosa non fare per evitare di incorrere in un incidente domestico: ad esempio: non si sale in piedi sul bidet o sul water per togliere o mettere la spina dello scaldabagno; c’è chi l’ha fatto – e non pochi-  rompendo l’igienico e procurandosi la rottura di una arteria con rischio elevato di morte per dissanguamento. Governare la  sicurezza domestica richiede molteplici  competenze, ferma restando quella principale collegata alla valutazione dei requisiti tecnici di una abitazione cioè all’idoneità della struttura e dei suoi impianti, competenze, queste, proprie di architetti, ingegneri e più in generale, tecnici della sicurezza; ma, sicurezza domestica, è anche, solo per fare un esempio, Igiene domestica, cioè, prevenzione dei rischi da infezioni correlate ad un uso “promiscuo” degli ambienti e degli oggetti. Si pensi ai ricorrenti episodi di cistiti/uretriti per uso comune di salviette igieniche o alla possibilità di infezioni da epatite B o HIV per uso comune di rasoi o, comunque, per contatto con sangue infetto. Sicurezza domestica è anche Igiene alimentare che investe, tra gli altri, il grande capitolo delle intossicazioni alimentari, dell’idoneità dell’acqua potabile, della corretta preparazione (cuocere adeguatamente i prodotti a base di carne, frutti di mare, pesce, uova; conservare gli alimenti alla giusta temperatura;  non preparare alimenti con troppo anticipo; mantenere gli alimenti caldi a temperatura superiore a 65°C ecc.).  Abitare una casa sicura significa anche renderla in grado di difendersi da eventuali intrusioni soprattutto se queste, come statisticamente accade in un caso su tre, avvengono in presenza di chi abita la casa con danni psicologici derivanti dall’episodio e dal timore di un suo ripetersi. Un capitolo estremamente importante è rappresentato dai danni alla salute collegati alla presenza di sostanze dannose in una abitazione: uno per tutti, ma sono tanti, la presenza di Radon nell’aria di una abitazione, responsabile, secondo i dati del Ministero della Salute, dell’aumento del  rischio di contrarre un tumore polmonare in una percentuale che va dal 3% al 14% di tutti i tumori polmonari e con un forte effetto sinergico tra fumo di sigaretta, anche passivo,  e radon. Un altro cenno merita poi l’aspetto della responsabilità collegata all’incidente domestico quando la vittima è un collaboratore domestico, sia esso “in regola” , sia in caso opposto (sei su dieci). Deve poi ricordarsi che per incidente domestico deve intendersi ogni incidente occorso in una abitazione e nelle sue pertinenze, intendendosi per tali anche le zone condominiali (scale, androni, giardini, parcheggi e simili); in questo caso l’attenzione investe l’intero condominio e chi lo amministra; così il consulente legale entra di diritto nel novero delle competenze che investono il capitolo della sicurezza domestica.


Arch. Gabriella Pesacane
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Rischio di inquinamento da gas radon nelle abitazioni


Il Radon è un   gas che deriva dal decadimento nucleare del Radio, derivato a sua volta da quello dell’Uranio. È radioattivo e, come gli elementi aeriformi, può spostarsi agevolmente fra gli interstizi del terreno, risalire in superficie ed entrare all’interno delle abitazioni, dove può raggiungere anche concentrazioni molto alte e diventare estremamente pericoloso per la salute di chi vi abita. Entriamo in contatto con il radon, respirando il pulviscolo presente nell’aria, al quale aderisce essendo elettricamente carico, per venire poi inalato ed infiltrarsi nel tessuto polmonare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, già nel 1988, ha classificato il radon nel Gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’uomo.  Il rapporto AIOM-AIRTUM del 2019 evidenzia una mortalità annua per tumore polmonare pari a 42500 unità; il 9% di questi sarebbe da riferirsi al radon che rappresenta così la seconda causa di cancro del polmone tra quelle collegate ad inquinanti indooor, essendo la prima da riferirsi al fumo cosiddetto passivo. Una review di 13 studi epidemiologici condotti in Europa conferma come il 9% delle morti per tumore del polmone possa essere attribuito a esposizione domestica a radon. Va chiarito che non è il radon di per sé ad essere nocivo, in quanto gas inerte, ma i prodotti del suo decadimento, cioè, metalli quali piombo, bismuto e polonio   le cui particelle posseggono un’elevata energia in grado di danneggiare le cellule, rompendo in più punti la molecola di DNA. Gli edifici maggiormente esposti a rischio di contaminazione da radon sono quelli costruiti su suoli di origine vulcanica o fortemente permeabili e che impiegano materiali da costruzione quali tufo, pozzolane, graniti. Siamo tutti potenzialmente in pericolo perché il Radon, infatti, trova molteplici vie di ingresso all’interno degli edifici. La dinamica di emissione e spostamento del Radon dal suolo all’interno delle abitazioni è complessa e presenta molteplici variabili:

- Il grado di fratturazione delle rocce: il radon può muoversi liberamente; può inoltre essere veicolato da acque contaminate, direttamente o tramite i suoi predecessori (Uranio e Radio), che, decadendo, lo liberano nel terreno;

– La permeabilità del terreno: quanto maggiore è il grado di permeabilità, tanto più    è agevole per il Radon arrivare in superficie, grazie alle correnti d’aria o alla fuoriuscita di acqua sorgiva;

Le variazioni di temperatura e di pressione dell’aria, note anche come “effetto camino” tra l’interno e l’esterno degli edifici:  fattori questi che provocano oscillazioni stagionali e giornaliere dei livelli di Radon, è dimostrato che le temperature basse e l’umidità notturna lo veicolano maggiormente    soprattutto ai piani bassi degli edifici; sono proprio gli edifici, con i moti convettivi dovuti al riscaldamento domestico, a favorire l’ingresso del gas, ma anche  le canne fumarie, gli impianti di scarico, gli aspiratori meccanici ed il vento, creano depressioni interne che contribuiscono  a favorirne l’ingresso.

Il radon si infiltra nelle nostre case   attraverso

– crepe e giunti in pavimenti e pareti, fori di passaggio dei cavi, tubazioni e fognature;

– pozzetti ed aperture di controllo;

– prese di luce ed altre aperture nelle pareti delle cantine, camini, ascensori, montacarichi;

– componenti costruttivi permeabili quali solai in legno, laterizi forati, muri in pietra e simili.

Non esiste una concentrazione “sicura” al di sotto della quale non vi è rischio di contrarre malattie. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Comunità europea ed alcuni Paesi hanno definito dei livelli di riferimento per le abitazioni e per gli ambienti di lavoro al di sotto dei quali si stima un rischio accettabile. Al di sopra di tali valori, viene suggerito, e in alcuni casi imposto, di adottare provvedimenti per il ridurne la concentrazione.

Il Radon, se ne è già fatto cenno, viene generato in modo particolare nelle rocce di origine vulcanica come le lave, le pozzolane, i tufi, il granito ed il porfido. In Italia l’inquinamento indoor da alte concentrazioni di Radon si presenta soprattutto in alcune zone del Lazio e della Campania a causa dell’utilizzo di materiali da costruzione di origine vulcanica (per lo più tufo), ma risultano particolarmente esposte anche la Lombardia, il Friuli, il Piemonte; va anche sottolineato come l’inquinamento possa generarsi anche in fabbricati per la cui costruzione siano stati utilizzati materiali estratti in zone radioattive.

Il livello di Radon presente negli edifici dipende da molteplici fattori, tra i quali la tipologia di edificio, i materiali utilizzati per la costruzione, i ricambi di d’aria, la ventilazione, ecc. La maggiore concentrazione di emissione Radon deriva da una pavimentazione poco isolata, dai solai oppure dalle intercapedini, che sono a contatto con il terreno, come i locali degli edifici collocati nei seminterrati o al pianterreno. Le più comuni vie di accesso del radon dal suolo sono: i giunti di connessione perimetrali fra solaio a terra e pareti verticali o altri elementi strutturali, la mancata sigillatura delle canalizzazioni degli impianti elettrici o idraulici, le microfessurazioni nel basamento dovute al ritiro dei leganti o da assestamenti strutturali, le fessurazioni dovute all’errata posa di materiali da costruzione, le intercapedini e la discontinuità causate dai giunti di dilatazione.

Le persone più a rischio sono i lavoratori che svolgono attività in luoghi seminterrati e sotterranei; i bambini e gli alunni che frequentano asili e scuole, con mense e palestre situate nei locali interrati o seminterrati; il personale ospedaliero molto spesso impegnato per prolungati turni di lavoro in ambienti abitualmente posti a piani bassi o seminterrati o interrati (sale operatorie, rianimazioni, laboratori, radiologie ecc.) non correttamente climatizzati.

Nelle abitazioni i locali maggiormente esposti sono le cucine, tavernette, sale hobby, con un una maggiore incidenza di danno nei confronti delle casalinghe, di bambini, di anziani che sostano maggiormente negli ambienti chiusi

La normativa

Il 17 gennaio 2014 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la nuova Direttiva europea sulla protezione dalle radiazioni ionizzanti (“Basic Safety Standards” – Direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio, pubblicata sulla G.U.U.E. L-13 del 17 gennaio 2014). Con tale Direttiva, sono stati fissati i limiti di concentrazione di attività per la commercializzazione di materiali da costruzione e sollecitati ai Paesi comunitari piani di azione per le concentrazioni di gas radon nelle abitazioni. È diventato così obbligatorio, per tutti gli Stati dell’Unione Europea, dotarsi di un piano nazionale “radon”. Agli Stati membri veniva affidato il compito di predisporre le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla già menzionata Direttiva entro il termine ultimo del 6 febbraio 2018; la Commissione deferì l’Italia (unico paese UE a non aver all’epoca adottato alcuna norma di recepimento) alla Corte di Giustizia UE per il mancato recepimento delle norme UE sulla radioprotezione.  Il 27 agosto 2020 è finalmente   entrato in vigore il nuovo Decreto Legislativo del 31 luglio 2020 numero 101 che, oltre a recepire la Direttiva Europea Euratom numero 2013/59, provvede a riordinare e armonizzare la normativa di settore, assicurando il mantenimento delle misure di protezione dei lavoratori e della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime stabilite dalla medesima direttiva.

Per offrire una misura delle concentrazioni accettabili, si fa riferimento ai valori raccomandati dalla Comunità europea:

-200 Bq/mc per le nuove abitazioni;

-400 Bq/mc per quelle già esistenti.

La normativa riferita agli ambienti di lavoro (decreto legislativo n. 241, del 26 maggio 2000) fissa invece un livello di riferimento di 500 Bq/mc.

Azioni di rimedio e protezione dal Radon

Di seguito si forniscono alcuni consigli riguardo i possibili interventi per limitare la concentrazione di radon, da applicarsi singolarmente o in combinazione per assicurarsi un miglior risultato

- misurare la concentrazione di radon negli ambienti chiusi. Come facciamo a sapere se c’è radon in casa? La prima cosa da fare è appunto misurarla per l’intero anno solare poiché i valori del Radon sono variabili nell’arco della giornata e dell’anno. Chiaramente è importante rivolgersi ad un tecnico specializzato, che provvederà a collocare dei dosimetri nei locali. Le misurazioni radon, infatti, devono essere eseguite da un laboratorio idoneamente attrezzato e le valutazioni di dose a persona devono essere fatte da un esperto qualificato nella radioprotezione, come indicato nel decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 e ss.ii.mm. I rilevatori possono essere richiesti a diverse strutture, tra cui l’Arpa e l’Enea, che assicurano un’assistenza per eseguire i monitoraggi ed una certificazione attestante la concentrazione presente.  con una piccola spesa (circa 30/40 € inclusa l’analisi di laboratorio). In alternativa si può acquistare un kit per una misurazione “fai da te”. Il dosimetro è molto piccolo, va   posizionato nell’ambiente che si vuole monitorare e, al termine dell’esposizione, va affidato per l’analisi a sezioni locali dell’Arpa o dell’’Enea, ma ci si può affidare anche a laboratori privati o agli stessi rivenditori dei dosimetri.

-Aumentare il ricambio d’aria con l’esterno è un intervento immediato ed efficace per ridurre la concentrazione di radon. Il maggiore ricambio d’aria può essere ottenuto sia con ventilazione naturale, aprendo frequentemente finestre e porte, sia con ventilazione forzata, attraverso l’impiego di ventilatori elettrici. L’impiego di sistemi attivi permette di controllare i volumi di aria scambiati con l’esterno ed evitare così, nelle stagioni più fredde, un eccessivo dispendio termico.

-Sigillare le abituali vie d’ingresso del radon per contrastare la sua penetrazione nell’edificio, chiudere ermeticamente le crepe, le fessure o microfessure presenti con l’utilizzo di materiali siliconici, poliuretani, resine, ecc. Per isolare gli interstizi attorno alle condotte tecnologiche (acqua, gas, elettricità, scarichi) è sicuramente preferibile l’utilizzo di materiale di tenuta a elasticità permanente. Le porte d’accesso ai piani interrati vanno sigillate con l’impiego di guarnizioni isolanti elastiche come le eventuali botole/chiusini presenti nei solai contro terra. Un altro accorgimento in fase di ristrutturazione è la messa in opera di membrane isolanti nei solai e pareti dei piani interrati in presenza di materiali da costruzione ad elevato rilascio di radon.

 

-Assicurare una ventilazione naturale o depressurizzazione dell’eventuale intercapedine o vespaio esistente tra suolo e edificio con una ventilazione naturale per deviare all’esterno il radon. Nel caso la ventilazione naturale sia insufficiente si può provvedere a forzare la circolazione d’aria mediante l’uso di ventola aspirante. Un rimedio efficace è altresì la realizzazione di un pozzetto radon. Questa tipologia di intervento è utilizzabile nel caso di edifici non dotati di vespaio. Si realizza il pozzetto nel terreno al di sotto del solaio, dal quale si estrae tramite gli aspiratori, l’aria carica di radon proveniente dal terreno. Lo stesso può essere realizzato in un punto “cruciale” adiacente all’edificio. Possono anche essere inseriti nel terreno sottostante l’edificio, all’altezza del pozzetto, delle tubazioni per facilitare la raccolta dell’aria. Se la tubazione aspirante ha una altezza equa può essere evitato l’uso di aspiratori elettrici. Il radon in questo modo viene spinto fuori.

-Assicurare la pressurizzazione dell’abitazione. L’ingresso del radon viene bloccato con un ventilatore creando in questo modo una leggera sovrappressione nell’abitazione. Questo tipo di soluzione si presta soprattutto per edifici ad alto contenimento energetico. In presenza di un eventuale piano interrato, con buona impermeabilizzazione e buona tenuta, è possibile pressurizzare solo questo livello immettendo aria con un ventilatore in modo da creare una barriera tale da contrastare l’entrata del gas nell’edificio.

-Accorgimenti in caso di edifici di nuova costruzione: Va premesso che anche i materiali di costruzione possono possedere alte concentrazioni di radon (vedi tab. 1) di conseguenza sembra opportuno tenerne conto quando ci si accinga a costruire nuovi edifici o abitazioni. Va posta poi attenzione alla realizzazione dell’“attacco a terra”, tramite un vespaio ventilato in modo da porre tra il terreno ed il fabbricato una intercapedine d’aria dalla quale il radon possa essere espulso verso l’esterno attraverso opportune canalizzazioni tramite ventilazione naturale o forzata (aspiratori). È opportuno inoltre isolare, secondo lo stesso principio, le eventuali pareti contro terra tramite uno scannafosso aerato. Nel caso non ci sia un vespaio è opportuno predisporre al di sotto dell’attacco a terra uno o più pozzetti di raccolta del radon collegati tra loro e collegati con l’esterno dell’edificio, inoltre è indispensabile inserire uno strato di ghiaia attraverso il quale possa circolare l’aria e confluire il radon nei pozzetti stessi. Un altro sistema raccomandato è la posa di rivestimenti o strati di materiali impermeabili al radon sui solai e pareti contro terra. È anche raccomandato predisporre e posizionare eventuali canalizzazioni per gli impianti idraulici, elettrici, riscaldamento o tecnologici in genere, in modo da evitare forature o danneggiamenti futuri agli strati impermeabili al radon. Infine, possono essere utilizzati particolari cementi antiritiro, nei quali è quasi nulla la formazione delle fessure dalle quali può penetrare il radon. Il gas Radon può penetrare nell’edificio attraverso le microfratture nelle fondazioni e le vie lungo tubazioni e fili elettrici.

Cosa respiriamo in casa nostra

“Il pericolo si annida dove ci si sente più al sicuro”, è l’aforisma utilizzato dall’ ANSiD, l’Associazione Nazionale Sicurezza Domestica” per sottolineare come la nostra attenzione sia costantemente rivolta ai pericoli che corriamo quando usciamo dalla nostra abitazione  che riteniamo, spesso impropriamente, il luogo sicuro per eccellenza. Niente di più errato ! Preoccupati, appena in strada, dell’aria inquinata che respiriamo, non pensiamo che la qualità dell’aria della nostra abitazione non lo è da meno. A condizionarne la qualità concorrono vari fattori: l’inquinamento outdoor che non può non avere ripercussioni anche all’interno della nostra abitazione, ma anche l’uso di sostanze che usiamo abitualmente in casa ( disinfettanti, igienizzanti, pitture, solventi ecc.), i fumi che si sprigionano quando cuciniamo, le polveri che si nascondono sui tappeti, sui divani e sui tessuti in genere. Una ottima indagine condotta dall’ ADICO, Associazione Difesa Consumatori,  ha evidenziato come  gli arredi, soprattutto se acquistati di recente possono rilasciare sostanze chimiche nocive perché prodotti quasi universalmente con compensati e truciolati trattati  con sostanze tossiche (vernici, collanti). La dispersione è maggiore quando i bordi degli arredi non sono protetti da laminati e quando la temperatura dell’abitazione è particolarmente elevata.  Quel buon odore di nuovo che avvertiamo in una casa ammobiliata di recente e che ci da l’impressione di pulito e sano, al contrario, dovrebbe preoccuparci ed indurci a ventilare abbondantemente la casa prima di abitarla. A farci riflettere arrivano gli esiti di un recente, importante  studio (ANAPNOI – Respirare bene per invecchiare meglio”) messo a punto dall’ Università Cattolica che ha coinvolto varie unità operative ( Fisica Ambientale e Fisica della Materia del Dipartimento di Matematica e Fisica di Brescia, la Facoltà di Sociologia di Milano, la Facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali di Piacenza e due gruppi di ricerca, Farmacologia e Igiene, della Facoltà di Medicina e chirurgia - Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma). Lo studio tendeva a dimostrare gli effetti dell’inquinamento domestico su pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), ma che in definitiva riguarda tutti  coloro che vivono in quelle abitazioni. Si tratta di uno studio di notevole valore scientifico anche per la metodologia e gli strumenti utilizzati per le rilevazioni (sensori nanostrutturati per l’analisi del respiro; è stato sperimentato presso la Farmacologia del Policlinico A. Gemelli IRCCS,  un nuovo naso elettronico a nanotubi di carbonio, in grado di fornire maggiori e più complete informazioni). Lo studio ha permesso di mettere a punto una serie di consigli utili per ridurre l’inquinamento domestico. E’ importante sottolineare l’aspetto pratico di questi consigli che hanno il pregio di essere facili da osservare senza un grande impegno di tempo e di mezzi da parte di tutti noi.

Le 10 regole per una buona qualità dell’aria negli ambienti domestici:

1) Ventilare l’abitazione  almeno una volta al giorno ed almeno per 20   minuti aprendo le finestre se possibile quelle meno esposte alle strade di traffico e possibilmente di pomeriggio quando l’inquinamento esterno è minore

2) Usare la cappa, quando si cucina avendo attenzione a cambiare periodicamente i filtri;

3) Aerare la casa dopo aver compiuto alcune attività, quali ad esempio l’uso di pitture, colle, solventi, disinfettanti ecc.;

4) Pulire almeno settimanalmente tappeti o moquette con aspirapolveri dotati di filtro HEPA cambiando periodicamente il filtro ( ogni 6 mesi);

5) Cambiare periodicamente il filtro HEPA di purificatori d'aria, laddove presenti;

6) Evitare  l'utilizzo di deodoranti e profumanti dell'ambiente quali spray, incensi e candele.

7) Evitare, se possibile, di utilizzare caminetti, stufe a legna o a "pellet";

8) Mantenere in una media accettabile le condizioni microclimatiche dell’abitazione evitando che  la temperatura e l'umidità dell'aria siano troppo alte o troppo basse;

9) Evitare di fumare in casa;

10) Non vivere troppo in casa, ma uscire cercando di passeggiare in luoghi possibilmente non inquinati.

Come si nota, si tratta di consigli utili e semplici che, lo si è già detto,  non richiedono un grosso impegno ma solo l’adozione di buone regole di vita.

Alla luce poi, dello studio ADICO, già citato, ci sentiremmo di far nostre le proposte scaturite da quello studio, aggiungendo alcuni altri consigli utili e cioè,  evitare, se possibile,  l’acquisto di mobili con formaldeide preferendo  quelli con il marchio CQA-Formaldehyde E1 che contraddistingue le produzioni di pannelli a bassa emissione di formaldeide e verificare che le superfici e i bordi siano laminati; dopo aver collocato la nuova mobilia, inoltre è opportuno ventilare l’ambiente per almeno 72 ore.

Un capitolo a parte meriterebbe poi l’inquinamento domestico da onde elettromagnetiche derivante dall’uso di cellulari e ancor più  da telefoni cordless, modem wi-fi e da apparecchiature tenute inutilmente accese 24 ore su 24.

Un ultimo consiglio ci perviene da Altroconsumo che ha testato l’uso di deodoranti, in particolare quelli  utilizzati con dispositivi che si inseriscono in corrente ed ha rilevato la loro cancerogenicità.
Cosa respiriamo a casa nostra.pdf

Smart working e zone d'ombra:
la sicurezza dei lavoratori da remoto

La legge 22 maggio 2017 n. 81  “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, ha inteso dettare norme generali per lo svolgimento del cosiddetto “smart working” che definisce una disciplina normativa nella quale il lavoro ‘agile’ viene inteso come un “accordo”, a tempo determinato o indeterminato, che integra l’ordinario rapporto di lavoro subordinato consentendo al lavoratore di svolgere la propria attività anche al di fuori del  tradizionale luogo di lavoro nel rispetto delle condizioni stabilite e concordate tra le due parti.  La Legge si differenzia  dalla disciplina sul “telelavoro”  ormai vecchia di venti anni che peraltro si riferisce  a sistemi di lavoro con vecchi pc spesso forniti dal datore di lavoro, solitamente al domicilio del lavoratore; il datore di lavoro provvede, in tale sistema di lavoro, a fornire l’intera postazione di lavoro ivi compresi tavolo, sedia ecc nel rispetto di quanto già definito dall’art. 173 del d.lgs. n. 81/2008. Ne viene di conseguenza, nel caso del “sistema-telelavoro” l’ obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza della postazione e delle attrezzature così come descritte nel successivo art. 174, comma 3, del già richiamato T.U sulla Sicurezza dei luoghi di lavoro che all’allegato XXXIV dettava i requisiti specifici. La già citata Legge 81/2017 specificamente al punto “ b “, sottolinea l’esigenza, anche nel caso del “lavoro agile”, di individuare i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Il punto “ d “ ribadisce il diritto del lavoratore alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali; il punto “e”, poi, impegna Il datore di lavoro alla tutela della salute e della sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile, consegnando al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.

Oggi l’uso di pc portatili e di sistemi collegati (videoconferenze, chat ecc.) amplia non di poco il concetto di un lavoro a distanza ma comunque è in grado di far dialogare tra loro in continuo e pur se in sedi diverse, lavoratori, management,  clienti ed altri soggetti interessati.

Ma che cosa è lo Smart Working?  L’Osservatorio del Politecnico di Milano   lo definisce” una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Secondo altri «lo Smart working è un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità».

La recente pandemia COVID ha reso diffuso in maniera ubiquitaria nella nostra realtà produttiva questo nuovo strumento di lavoro ed è immaginabile che la diffusa sperimentazione che ne è stata fatta, possa farlo divenire, laddove possibile, di uso comune.  Si pensi, solo per fare un esempio, alle opportunità che si offrono ad una lavoratrice madre cui venga data la possibilità di lavorare senza trascurare i suoi doveri nei confronti della propria famiglia e soprattutto dei figli in tenera età.  Appaiono chiari i benefici che datore di lavoro e lavoratore ricevono da questa nuova organizzazione del lavoro che, peraltro, elimina, nel caso del lavoratore, i tempi di raggiungimento e di ritorno dal posto di lavoro, spesso lunghi e faticosi oltre che ovviamente costosi. Il collante che naturalmente è alla base di questo sistema è rappresentato dal raggiungimento degli obiettivi aziendali da parte del lavoratore che, ovviamente, avendo interesse a mantenere tale modalità lavorativa, opererà con ancora maggiore energia ed impegno per soddisfare le esigenze datoriali.

Risulta evidente come questa  nuova tipologia contrattuale, ma come particolare modalità di lavoro basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici, nonché dall'assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali) comporti, sul piano della sicurezza del lavoratore, due problematiche legate alla libertà del lavoratore ,di organizzare il proprio lavoro in maniera più autonoma, sia sul piano del rispetto dell’orario sia su quello della sede con il rischio di incidere su uno dei requisiti fondamentali della prestazione lavorativa subordinata, cioè la definizione dell'orario di lavoro; il datore di lavoro potrebbe definire obiettivi che comportano un carico di lavoro tale da comportare un impegno orario, superiore a quello che il lavoratore avrebbe svolto lavorando in sede. Sempre in tema di normativa relativa allo smart working, il comma 486 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2019, legge del 30 dicembre 2018, n. 145, ha inserito dopo il comma 3 dell’art. 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81, il comma 3-bis il quale stabilisce che “i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei 3 anni successivi alla conclusione del periodo di congedo per maternità, previsto dall’art. 16 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151” ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità grave ai sensi dell’art. 3 co. 3 della legge 104/92. Non può non sottolinearsi qui, in tutta la sua evidenza, il rischio di stress lavoro correlato del lavoratore costretto nello stesso tempo e nella stessa sede a far coincidere gli obblighi lavorativi con quelli di assistenza alla prole e, ancor di più all’accudimento di  figli in condizioni di disabilità.

CONCLUSIONE

La diffusione, ormai inarrestabile,  dello smart working negli anni a venire, necessita di un ulteriore sviluppo della normativa collegata;  la valutazione dei rischi in una attività di ufficio dispone di una serie di parametri certi che consentono al datore di lavoro ed ai suoi organi di vigilanza (ed allo stesso lavoratore) di svolgere la dovuta attività di sorveglianza (condizioni del microclima, uso di videoterminali, rispetto dei valori ergonomici, rispetto degli orari di lavoro, valutazione di segnali di  stress lavoro correlato ecc.); la complessità di tale funzione aumenta ovviamente se il/i  luoghi di lavoro sono  scelti discrezionalmente dai lavoratori. In tale contesto, è necessario che il legislatore intervenga al fine di definire con maggiore precisione anche gli obblighi del lavoratore di collaborare all’attuazione delle misure individuate dal datore di lavoro con particolare riguardo allo stress lavoro correlato, ai rischi ergonomici ed a quelli correlati ad una incongrua esposizione a videoterminali.

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Inquinamento indoor

Si è portati a ritenere   erroneamente che la nostra abitazione sia  il luogo sicuro per eccellenza. Così non è e le statistiche ci confortano in questa affermazione, testimoniando una altissima percentuale di incidenti domestici e di danni correlati. Spesso, quando camminiamo nel traffico cittadino, pensiamo alla nostra casa come un rifugio sicuro nella quale poter sentirci al riparo dai pericoli dell’inquinamento di un’aria che ci appare irrespirabile. Così non è ! In Europa la popolazione trascorre al chiuso il 90% del suo tempo e l’aria interna contiene più di 900 sostanze chimiche potenzialmente dannose. Se consideriamo che ogni persona inala ogni giorno dai 10mila ai 20mila litri d’aria si comprende bene quale peso abbia il problema dell’inquinamento sulla salute. Valgono, perciò,  anche per la nostra abitazione delle regole generali e dei consigli utili per creare un ecosistema compatibile con il mantenimento di un ottimale stato di salute. Il decalogo che riportiamo qui di seguito è il frutto di un poderoso lavoro di ricerca di prestigiose università italiane.

Le 10 regole per una buona qualità dell’aria negli ambienti domestici:

1) Ventilare l’abitazione almeno una volta al giorno ed almeno per 20   minuti aprendo le finestre se possibile quelle meno esposte alle strade di traffico e possibilmente di pomeriggio quando l’inquinamento esterno è minore

2) Usare la cappa, quando si cucina avendo attenzione a cambiare periodicamente i filtri;

3) Aerare la casa dopo aver compiuto alcune attività, quali ad esempio l’uso di pitture, colle, solventi, disinfettanti ecc.;

4) Pulire almeno settimanalmente tappeti o moquette con aspirapolveri dotati di filtro HEPA cambiando periodicamente il filtro ( ogni 6 mesi);

5) Cambiare periodicamente il filtro HEPA di purificatori d'aria, laddove presenti;

6) Evitare l'utilizzo di deodoranti e profumanti dell'ambiente quali spray, incensi e candele.

7) Evitare, se possibile, di utilizzare caminetti, stufe a legna o a "pellet";

8) Mantenere in una media accettabile le condizioni microclimatiche dell’abitazione evitando che la temperatura e l'umidità dell'aria siano troppo alte o troppo basse;

9) Evitare di fumare in casa;

10) Non vivere troppo in casa, ma uscire cercando di passeggiare in luoghi possibilmente non inquinati.

Lo studio ha preso il nome di “ANAPNOI- Respirare bene per invecchiare meglio” ha voluto mettere in relazione gli effetti dell’inquinamento domestico su pazienti affetti da BPCO, la  broncopneumopatia cronica ostruttiva che è un insieme di malattie respiratorie che interessano polmoni e bronchi con conseguenti difficoltà respiratorie. Si tratta di malattie ad andamento cronico con danni spesso irreversibili ma che possono essere tenuti sotto controllo. Tra queste la bronchite cronica che è una infiammazione della mucosa bronchiale che comporta una difficoltà nello scambio gassoso tra l’aria inalata e l’ossigeno assorbito dai polmoni.

I sintomi della BPCO sono: difficoltà a respirare (dispnea).tosse persistente, dolore durante la deglutizione, produzione eccessiva di muco, con catarro bianco o giallastro, con piccole perdite di sangue, respiro sibilante, fiato corto, febbre, brividi di freddo, dolori articolari, faringite, raucedine, oppressione al torace, disturbi del sonno. Ovviamente non sempre questi sintomi sono tutti presenti o lo sono contemporaneamente. Si tratta di patologia molto diffusa che interessa quasi il 5% della popolazione e rappresenta la quarta causa di morte. Ovviamente l’inquinamento ambientale gioca, insieme con il fumo di sigarette un ruolo importante nel determinare la malattia e nel farla aggravare. E’ perciò fondamentale che la nostra abitazione, dove noi trascorriamo, “respirando” la gran parte del nostro tempo, presenti condizioni climatiche ottimali, poco potendo fare, almeno singolarmente, per contrastare l’inquinamento esterno che, comunque, contribuisce a condizionare anche la qualità dell’aria nella nostra abitazione collegata anche a vari altri fattori quali l’uso di sostanze abitualmente utilizzate ( disinfettanti, igienizzanti, pitture, solventi ecc.), i fumi che si sprigionano quando cuciniamo, le polveri che si nascondono sui tappeti, sui divani e sui tessuti in genere, la presenza di animali domestici in specie se a pelo lungo. Ci si trova, così,  di fronte a patologie collegate alla cosiddetta "Sick Building Syndrome" ovvero "Sindrome da edificio malato" che si presenta con veri e propri disturbi, più o meno intensi, quali nausee, irritazioni, dolori articolari, cefalee, ecc. Anche in Italia si sono svolti studi e ricerche nel settore. Già nel 1991 la "Commissione Nazionale per l'inquinamento degli ambienti confinati" aveva lanciato un grido di allarme per il degrado dell'aria respirata fra le mura domestiche. Tra l’altro, in Italia, ancor oggi,  non c’è una normativa a livello nazionale per il controllo della qualità dell’aria indoor negli edifici generici. Una indagine condotta dall’ ADICO, Associazione Difesa Consumatori,  ha evidenziato come  gli arredi, soprattutto se acquistati di recente possono rilasciare sostanze chimiche nocive perché prodotti quasi universalmente con compensati e truciolati trattati  con sostanze tossiche (vernici, collanti). La dispersione è maggiore quando i bordi degli arredi non sono protetti da laminati e quando la temperatura dell’abitazione è particolarmente elevata.  Quel buon odore di nuovo che avvertiamo in una casa ammobiliata di recente e che ci da l’impressione di pulito e sano, al contrario, dovrebbe preoccuparci ed indurci a ventilare abbondantemente la casa prima di abitarla. Alla luce poi, dello studio ADICO, già citato, ci sentiremmo di far nostre le proposte scaturite da quello studio, aggiungendo alcuni altri consigli al decalogo ANAPNOI e cioè,  evitare, se possibile, l’acquisto di mobili con formaldeide preferendo  quelli con il marchio CQA-Formaldehyde E1 che contraddistingue le produzioni di pannelli a bassa emissione di formaldeide e verificare che le superfici e i bordi siano laminati; dopo aver collocato la nuova mobilia, inoltre è opportuno ventilare l’ambiente per almeno 72 ore.

Un capitolo a parte meriterebbe poi l’inquinamento domestico da onde elettromagnetiche derivante dall’uso di cellulari e ancor più  da telefoni cordless, modem wi-fi e da apparecchiature tenute inutilmente accese 24 ore su 24.

Un altro  consiglio ci perviene da Altroconsumo che ha testato l’uso di deodoranti, in particolare quelli  utilizzati con dispositivi che si inseriscono in corrente ed ha rilevato la loro cancerogenicità.

L’inquinamento da Radon, poi, sembra voler meritare una trattazione specifica per la sua particolare importanza. Tra l’altro, in Italia non c’è una normativa a livello nazionale per il controllo della qualità dell’aria indoor negli edifici generici.

 


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